Atomi, consumi e civiltà

Anni fa, all’epoca dell’ultimo (solo in ordine temporale) referendum sul nucleare votai contro la riattivazione di questa fonte di energia nel nostro paese. Non posso dire di essermi “pentito” di quella scelta, ma certo negli ultimi anni l’ho ripensata più volte, già prima dell’invasione russa dell’Ucraina e della conseguente “crisi energetica”.
In realtà, ancora oggi non sono esattamente convinto delle ragioni in favore dell’energia nucleare, trovo tuttavia abbastanza e sempre più persuasive le argomentazioni relative al cambiamento climatico: se l’energia atomica è meno inquinante in termini di emissioni di CO2, questo elemento dovrebbe pesare seriamente nelle nostre riflessioni.
Questo pensiero mi è tornato in mente ieri ascoltando un podcast dell’Economist sulle prospettive della c.d. fusione atomica come fonte di energia, fonte di energia che (come molti) credo possa essere un’entusiasmante svolta. Se arriverà in tempo.

A questi ragionamenti e in queste ipotetiche aperture all’energia atomica si accompagna però un altro, più semplice, pensiero: tutte le fonti “rinnovabili” o “non inquinanti” del mondo non serviranno a nulla se non rivediamo, ripensiamo e riduciamo i nostri consumi energetici.
In particolare l’energia atomica, con la sua potenzialmente immensa produzione di energia, non risolverà un bel nulla se prima e a monte di queste centrali non riflettiamo sui consumi.

Parlando del bilancio dello Stato, mio padre usa spesso l’immagine di un bilancio familiare: se una famiglia guadagna 10 e spende 20, dice, prima o poi dovrà guadagnare 15 e spendere 10 per rimettere le cose in ordine.
Immaginiamo ora che quella famiglia “vinca alla lotteria”: avrà forse bisogno di rimettere le cose in ordine, di spendere meno?

Ecco, il mio timore con ogni nuova fonte di energia che viene scoperta (più o meno “verde” che sia) è che questa sia come una vincita alla lotteria: una “scusa” per non affrontare il problema di fondo e continuare a rinviare scelte difficili, cambiamenti di paradigma di cui invece avremmo urgentemente bisogno.
Insomma, se anche domani avessimo accesso all’energia nucleare (fusione o fissione che sia), ma non pensassimo minimante di ridurre i nostri consumi ed i nostri stili di vita, continueremo semplicemente su questa rotta sempre più energivora, consumando più e più energia e continuando la rincorsa allo sfruttamento estremo delle risorse esistenti e la scoperta di nuove.

Pensate a quanti apparecchi di vario genere attaccate alla presa ogni giorno (o più volte al giorno) per caricarli e continuare ad usarli ad oltranza: uno o due pc; uno o due (o tre) smartphones; magari un lettore di libri digitali; un paio di casse ed uno di cuffiette bluetooth; magari la vostra macchina elettrica; il rasoio; il tagliaerba; il robot aspirapolvere; le powerbank per tutti gli aggeggi di cui sopra…. i milioni di gadgets piuttosto inutili che ci vengono propinati ogni giorno (un esempio idiota: la borraccia che sterilizza l’acqua con un raggio UV). Tutte cose bellissime, fighissime, utilissime… di cui non abbiamo assolutamente bisogno. Tutte cose che magari prese singolarmente consumeranno poco, pochissimo, quasi nulla, ma che continuano a sommarsi e che complessivamente pesano sempre di più sul vostro bilancio energetico, sulla vostra impronta ecologica senza che ce ne rendiamo minimamente conto.
Pensate a quante di queste cose avevate anche solo 2, 5 anni fa. Non so voi, ma sebbene cerchi di limitare questi acquisti energivori, anche io ho aumentato il numero di apparecchi che necessitano di energia elettrica anche solo nell’ultimo paio d’anni.

Con un ragionamento forse stupido, prima di sviluppare nuove fonti di energia, vorrei cominciassimo a rivedere questa corsa ai consumi che non ci porterà da nessuna parte. Magari sarà irrealizzabile, ma non si potrebbe (ad esempio) pensare ad un “energy cap“, un tot di energia elettrica cui ciascun cittadino ha potenzialmente diritto (che lo consumi o no) e che non possa eccedere? Un limite aldilà dei consumi effettivi, un limite che ci costringa a ragionare nuovamente non in termini di assoluti, a re-interiorizzare il concetto stesso di limite. Indipendentemente dalla fonte con cui quella energia è prodotta (o almeno relativamente indipendente… con dei quozienti?).
Se proprio vogliamo, si potremmo aprire questo sistema ad un minimo di commerciabilità (come per le carbon quotes).

Se restiamo nella logica di consumi illimitati, non ci saranno mai risorse sufficienti o strumenti che ci consentano di evitare la catastrofe ecologica verso cui stiamo correndo.
Forse l’energia elettrica potrebbe essere un buon punto per partire, un punto meno visibile (quindi forse meno “traumatico” che il pensiero di non poter comprare un telefonino nuovo ogni anno), ma altrettanto impattante.

Questa voce è stata pubblicata da redpoz.

3 thoughts on “Atomi, consumi e civiltà

  1. Aggiungo poi che puntare sull’energia atomica risolve forse il problema pratico, ma sicuramente non quello etico di un sistema di benessere largamente basato sullo sfruttamento di pochi su larga parte del mondo; e il nucleare questo problema non lo risolve nemmeno un po’, visto che l’uranio di certo non lo estraiamo in loco, e ci “toccherebbe”andarcelo a prendere dai “soliti noti” (Africa, ad esempio?), con conseguenze anche “quotidiane” di cui non riusciamo a vedere l’origine perché ci dimentichiamo questo passaggio (vedi immigrazione).

    Riguardo il ripensare il paradigma, aggiungo (come sempre) che però anche attribuire la responsabilità al singolo consumatore è spostare il centro del problema. Hai ragione, comprare un telefonino nuovo ogni anno non è necessario; ma, oggi come oggi, avere un cellulare con connessione ad internet lo è eccome. Sicché, forse più che il consumismo “a valle”, bisognerebbe combattere il consumismo “a monte”, ossia a partire dai produttori e dalle loro politiche. Certo, vero è che un cellulare meno “obsolescente” costerebbe verosimilmente di più…

    • Riguardo la responsabilità dei singoli consumatori vs produttori, ricordo abbiamo già avuto questa discussione in passato, sono anche andato a cercamela ma senza riuscire a trovarla (quindi non ricordo se avessimo fatto alcun passo avanti nella discussione… potrebbe essere interessante recuperlarlo, se lo trovi). Oggi come allora, sono d’accordissimo con te bisogna incidere sul sistema economico contemporaneamente (se non prima che) sui singoli. Non sono sicurissimo invece che creare prodotti più duraturi sia fondamentalmente più costoso. In realtà, se prendi tanti prodotti (penso ad un iPhone o un MacBook per citare un’azienda che lancia un prodotto nuovo ogni anno o più: tecnicamente entrambi durano comodamente 10+ anni già ora).

      Il primo punto che sollevi, invece, è un aspetto cui ho pensato anche scrivendo questo post, decidendo poi di lasciarlo da parte almeno per il momento (avrebbe esteso la discussione ben oltre il punto specifico). Certo gli espetti geopolitici e di giustizia sociale mondiale sono ineccepibili e mi trovano d’accordo. Personalmente andrei anche oltre: dovremmo aprire una discussione sulla giustizia e sostenibilità di un sistema economico “estrattivo”, basato cioè sullo sfruttamento e distruzione praticamente senza fine delle risorse naturali.

    • Integro la mia risposta di cui sopra con un elemento che ho appreso proprio ieri e che ritengo interessante (la fonte è il podcast Throughline di NPR, che consiglio): negli anni ’40, amministrazione Roosevelt, esistevano negli USA dei prezzi calmierati per i beni di consumo (pane, uova, etc), introdotti per frenare l’inflazione galoppante causata dall’economia di guerra. Parallelamente, per monitorare i prezzi, era stato creata un’agenza, la OPA (https://en.wikipedia.org/wiki/Office_of_Price_Administration) e introdotto il razionamento di questi stessi beni, per evitare un mercato parallelo in cui i prezzi tornassero a correre. La logica era semplicemente che limitando il consumo, si sarebbe evitata una corsa al rincaro dei prezzi.
      Quello che mi ha colpito, è la lucidità nel collegare consumo e produzione. L’altro aspetto interessante è notare che, secondo il podcast, la spinta a rimuovere il tetto ai prezzi venne proprio dai produttori.
      Ovviamente questo sarebbe difficile, per essere eufemistici, per i beni di consumo al giorno d’oggi & nei nostri paesi “sviluppati”. Ma non potrebbe essere ipotizzabile per altri beni? (e.g. i telefonini)

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