Recensione 64: “La notte di Lisbona”

Avete anche voi un libro “feticcio”? Per molti anni, La notte di Lisbona di Remarque è stato per me esattamente questo (assieme a “Microfisica del potere” di Foucault): in ogni libreria in cui entravo, chiedevo di questo libro, ricevendo puntualmente la medesima risposta: “non lo abbiamo“.
Alla fine era diventato quasi una scusa: se volevo solo curiosare per la libreria e non avevo esattamente intenzione di acquistare qualcosa (pericolo enorme, per me, ogni volta che entro in una libreria), chiedevo ai commessi proprio “La notte di Lisbona“. Conoscevo già la risposta. Sono andato avanti cosi’ per anni.
Ma non ho smesso di cercarlo.
Potete capire che quando, improvvisamente, l’ho trovato disponibile on-line non potevo lasciarmelo scappare.

Non avevo mai letto Remarque prima, neanche il troppo celebre “Niente di nuovo sul fronte occidentale” (salvo alcuni estratti a scuola e uno spezzone del vecchio film) – anzi, proprio tutto il rumore che circonda quel libro me ne ha allontanato. Ma “La notte di Lisbona” era qualcosa di diverso: nessuno parlava di questo libro, nessuno si perdeva in lodi o critiche. Per la critica letteraria quotidiana, Remarque avrebbe potuto scriverlo o non scriverlo e non sarebbe cambiato poi molto.
Che stupidità.

La notte di Lisbona” è, invece, un testo che meriterebbe molta piu’ considerazione. Anche una trasposizione cinematografica (certo, a trovare tre attori in grado di reggere la scena cosi’… e uno sceneggiatore in grado di metterla in piedi senza stravolgere tutto).
Il testo scivola via fra il dialogo tra due rifugiati tedeschi in una notte nella capitale portoghese e le riminiscenze di uno dei due, un flusso narrativo piacevolmente sorprendente, una fluidità che tante volte mi pare si sia persa nella narrativa. In questo romanzo, Remarque riesce poi a rappresentare due grandi temi con una completezza di sfaccettature e una delicatezza notevoli. Dire che ciascuno di noi puo’ immedesimarsi nei protagonisti sarebbe probabilmente esagerato (oltreché, in qualche modo, ingiusto), ma in fondo questa pretesa è forse sempre esagerata. In compenso, leggendo il testo, ciascuno puo’ arrivare a sentire a tratti le angosce e le passioni che muovono i tre protagonisti.
Dico “tre” protagonisi perché, sebbene la maggior parte della narrazione coinvolga solo due fra essi (i due rifugiati che discorrono attraverso tutta la notte di Lisbona), un terzo personaggio occupa la scena, e anzi la marca e dirige forse piu’ degli altri due (un po’ come in “Jules e Jim“).
Un po’ di contesto: Lisbona, notte, 1942. Due rifugiati tedeschi fuggiti dal regime nazista, dopo molti mesi e mille peripezie in Francia si ritrovano al bordo dell’Oceano Atlantico. Uno di essi (il narratore) anela, disperato, un posto sull’ultima nave che salpa per gli Stati Uniti -ultima speranza di sfuggire alle grifie della GESTAPO- l’altro (Schwarz), che un posto sulla nave ce l’ha, vuole invece “tornare indietro”, in Germania ed è pronto a cedere visto e biglietto a patto che il primo ascolti la sua storia. L’affare sembra troppo allettante, specie al culmine della disperazione, e il narratore accetta.
Inizia cosi’ un flash-back, intervallato da alcuni salti al presente, nel quale Schwartz racconta le fortune, peripezie e disgrazie che ha vissuto negli ultimi mesi: da un insperato ricongiungimento con la moglie (rimasta inizialmente in Germania) agli spensierati mesi assieme nella Parigi che si prepara al conflitto, fino alla separazione, l’internamento nei campi di prigionia francesi, l’aggrapparsi disperato al ricordo dell’altro, l’angosciosa fuga alla ricerca di una qualche salvezza e l’assurdo idillo di qualche momento di pace trovato (o creato) in mezzo al caos, alla violenza e allo sconforto simile a quello di una scialuppa persa nell’oceano (ma inseguita dagli squali).

Remarque riesce non solo a farci osservare questo panorama di scene di vita, ma anche -a tratti- a farci immergere in esse. Come accennavo altrove, nelle pagine delle continue fughe, della perdita di ogni sicurezza, di ogni futuro, nella disperazione del non sapere a cosa aggrapparsi, riusciamo a percepire, ad immedesimarci nelle vite di tanti che ancora oggi sono costretti a fuggire, magari col terrore di essere costantemente braccati. Soprattutto questo ho apprezzato nel libro, che scopro cosi’ essere un testo di vivissima attualità, ben oltre quel che si potrebbe immaginare.
Questa è apparentemente la trama principale, quella che unisce i primi due protagonisti e che crea lo sfondo per il resto della narrazione.
Ma ve n’è anche un’altra, quella dell’amore fra gli altri due protagonisti. In questa seconda storia, l’autore riesce anche a darci una sfaccettatura piu’ articolata di sentimenti troppo spesso ridotti a cliches, della loro complessità, dell’ambiguità che magari li impregna (o che di essi ci appare), della nostra difficoltà di comprenderli appieno e dell’importanza che anche i non detti hanno (bellissime, a riguardo, le righe finali sulla nota d’addio di uno dei protagonisti).
Praticamente due romanzi in uno, delicatamente e accuratamente intrecciati, piacevolemente narrati.

Non so se ora andro’ a cercare altri testi di Remarque, di certo so che sono fortemente curioso di vedere una messa in scena di questo libro.

Sebbene in modo sorprendente e totalmente diverso da quanto mi sarei aspettato, dopo tanto cercare, “La notte di Lisbona” e Remarque hanno pienamente soddisfatto le mie aspettative di lettore.

Questa voce è stata pubblicata da redpoz.

3 thoughts on “Recensione 64: “La notte di Lisbona”

    • All’inizio perché volevo leggere Remarque pur evitando la forzatura del libro più celebre. Poi per una certa fascinazione per Lisbona. Per sfida. Infine per feticcio

  1. Pingback: Recensione 65: “The Sorrow of War” | redpoz

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.